

Sorella, mio unico amore - romanzo di Joyce Carol Oates
Sorella, mio unico amore è un romanzo del 2008 basato sulla vera storia dell’omicidio di Jon Benét Ramsey, avvenuto il 25 Dicembre 1996.
Perché Oates scelse proprio questo evento?
Perché la vittima altro non è che una baby reginetta di bellezza di appena sei anni, trovata morta nel seminterrato della sua casa e di cui, tuttora, sconosciamo l’assassino.
Il romanzo si discosta nei tratti identificativi dei personaggi, quindi parliamo della famiglia Rampike, composta da Bix, Betsey e dai figli Skyler e Bliss.
Bix è un uomo in carriera, sempre in viaggio per lavoro anche se, quelle rare volte in cui si trova a casa, cerca di essere un buon marito e un padre affettuoso. Betsey, come la figlia, era una promessa dei concorsi di bellezza, ma la sua carriera non decollò mai; per questo motivo, cercherà in tutti i modi di rifarsi attraverso i suoi bambini e di ottenere quel successo mediatico, borghese e sociale che lei non ha mai raggiunto. Dapprima ci prova con Skyler, che già a sette anni era un provetto ginnasta; tuttavia, a causa di una caduta, rimarrà zoppo. Betsey è disperata, quindi non potrà far altro che investire sulla piccola Bliss, che diverrà praticamente da subito una star del pattinaggio sul ghiaccio, riscattando finalmente la madre.
Il quadro che emerge da questi brevi ritratti è quello della tipica famiglia che cerca di realizzare l’utopico “sogno americano” di cui, purtroppo, rimarrà vittima. Tutto ciò, però, viene descritto da Oates attraverso gli occhi di Skyler: sì, è proprio lui a raccontarci la storia di questo evento tragico, e ciò che emerge sarà una sorta di diario dei suoi anni difficili, dall’infanzia all’adolescenza, in una commistione di prima e terza persona singolare.
Questo romanzo non ha una vera e propria trama e sembra quasi un romanzo di formazione. Gli eventi narrati sono soltanto la cornice e il pretesto per il complesso e patologico sviluppo della psiche di Skyler, il quale trascorrerà parecchi anni della sua vita sentendosi sbagliato, colpevole del crimine che ha sconquassato la sua famiglia, semplicemente perché lui vive, vive al posto della sorellina. Infatti, la narrazione risulta molto frammentata e singhiozzante, proprio perché Skyler, attraverso ricordi o piccoli episodi quotidiani, tenta in tutti i modi di rimettere insieme i cocci della sua vita spezzata. E a contribuire notevolmente a questo trauma sono sicuramente i genitori, specie la madre Betsey.
“Ecco perché il racconto è ingarbugliato, e procede così ossessivamente a rilento: Skyler (diciannove anni) non ce la fa a soffermarsi sulle scene sempre più traumatiche della sua vita (quando aveva nove anni) eppure lui/io deve/devo.”
Betsey è una vittima della società dell’apparenza: cura moltissimo il suo aspetto fisico, il suo modo di approcciarsi alle famiglie borghesi del suo quartiere, e dedicherà anima e corpo – oltre che moltissimo denaro – alla cura estetica della piccola Bliss. La bambina dovrà sopportare diverse sedute di microchirurgia, unghie, trucco e parrucco, per sembrare una vera e propria bambolina di porcellana sui pattini. Le immagini descritte da Oates sono davvero agghiaccianti, se ci si immedesima anche solo per un secondo nei panni di questa creatura; inoltre, pensare che sia un fatto realmente accaduto, che accade tuttora, suscita un forte senso di disturbo durante la lettura. Bliss rappresenta una generazione di bambini che Teresa Ciabatti, in questo contesto, definisce “Pinocchio al contrario”: se Pinocchio diventa umano vivendo, Bliss diventa un burattino degli adulti.
La potenza di Oates sta nel suo stile. Le sue descrizioni sono crude, ciniche e brutali: non ha paura di scavare con le mani nel fango della società statunitense che vuole denunciare, anzi; la violenza psicologica, la cattiveria, sono tra i suoi temi centrali non solo di questo libro, ma di tutta la sua produzione. Infatti, in questo caso, è perfettamente in grado di destare disprezzo nei confronti di questi genitori, della loro cricca di falsi amici milionari, e lo fa attraverso i piccoli dettagli, quei gesti – come mangiarsi le unghie – che, dietro alla loro innocua apparenza, celano la grande frustrazione derivante dalla volontà di emergere a tutti i costi nella società della performance, un fenomeno che stiamo vivendo tuttora, in modo talvolta più subdolo e, quindi, più pericoloso.
Carla D'Agristina