Recensione film

È stata la mano di Dio, di Paolo Sorrentino, 2021

Regista: Paolo Sorrentino

Genere: DrammaticoBiografico

Anno: 2021

Paese: Italia

Durata: 130 min.

Data di uscita: 24 novembre 2021

Distribuzione: Netflix

“Non ti disunire”

È stato questo il tormentone cinematografico degli ultimi mesi: che cosa avrà voluto dire, Paolo Sorrentino, con questa frase quasi verso il finale del film?

La chiave di lettura potrebbe darla la trama stessa della pellicola ma, prima di addentrarci in essa, occorre fare una doverosa premessa: questo è il film autobiografico per eccellenza di Sorrentino, non foss’altro che per il fatto che il regista stesso l’ha apertamente dichiarato. È stata la mano di Dio, ventitreesimo film del regista premio Oscar Paolo Sorrentino, racconta momenti salienti e di svolta della giovinezza del regista de Le conseguenze dell’amore (2004) e La grande bellezza, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero nel 2013. Sorrentino torna con un’opera cinematografica in cui il regista investe tanto sul piano emotivo, rendendo la narrazione poetica, molto intima, piena di metafore e immagini quasi oniriche, dalle sfumature felliniane, come spesso accade nelle sue pellicole. 

La scena si apre negli anni ’80, a Napoli, città natale del regista, Fabietto, il protagonista della storia, vive la sua adolescenza spensierata caratterizzata dagli amici, dalla sua famiglia sui generis e dalla passione calcistica per il Napoli. Proprio il tifo per la sua squadra del cuore che, si sa, in certi contesti è quasi una religione, ha un ruolo cruciale nella narrazione; nello specifico il fermento per il recente acquisto da parte del Napoli del calciatore Diego Armando Maradona non solo segna un’epoca, ma segnerà anche la vita di Fabietto.

Come spesso accade nei film di Sorrentino, i personaggi si susseguono come in un circo variopinto, molti di loro vengono rappresentati con caratteristiche rese quasi grottesche dalla narrazione e dalle scene. Nonostante ciò, non assistiamo ad una carrellata di personaggi irrealistici, anzi, molti di loro rimangono per diverso tempo nella mente dello spettatore proprio per la loro umanità palpitante e le caratteristiche psicologiche narrate in maniera egregia. 

L’arrivo di Maradona in città rappresenta per il film (e per la vita del protagonista e del regista) un momento cruciale, di svolta vera e propria. Tale episodio, infatti, inizialmente carico di grande portata emotiva e puro tifo, sarà letteralmente salvifico per il protagonista, poiché gli eviterà una fine tragica. Al contempo, proprio l’aver evitato ciò e, dunque, l’essere sopravvissuto, lo porterà a decisioni che cambieranno per sempre la sua vita. Da questa catena di eventi Fabietto imparerà come spesso, nella vita, dolore e gioia si intreccino, a volte in maniera paradossale e quasi beffarda. 

La futura strada di Fabietto sarà destinata al successo, ma la frase che lascerà disorientato anche lui, sul finale, “Non ti disunire”, probabilmente è da leggere come un richiamo alle sue radici, alla sua giovinezza, a tutte quelle esperienze che l’hanno portato a realizzare i suoi sogni. Poiché qualsiasi cosa accada è bene ricordare da dove si è partiti, cosa siamo stati, perché ciò che si è nel presente è frutto anche del percorso passato, è la nostra essenza ed è ciò che ci accompagnerà per sempre, nonostante i cambiamenti inevitabili dell’esistenza. 

Non è la prima volta che Sorrentino affronta il tema delle radici con tanta poesia ed eleganza, basti pensare al finale de La Grande Bellezza, ma quella è un’altra storia, è un altro film. 

Laura Ventimiglia

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