Elisabetta Sirani

Una vita breve di appena 27 anni, ma intensissima se la Sirani ha lasciato un corpus di circa 200 tele, oltre a  stampe, disegni e schizzi acquerellati. E tutto nell'arco di dieci anni circa di attività. Un vero portento, se considerata anche la elevata qualità delle sue opere, così alta da annoverare tra i suoi committenti aristocratici e teste coronate. Così fine la sua pittura da suscitare notevole invidia tra i tanti colleghi uomini che non le resero la vita facile. Perchè nel 1600 la pittura era ambito appannaggio di soli uomini. Ma il suo talento era indiscutibile e lo testimonia la sua produzione, ma anche chi assiste mentre lei disegna una trama compositiva con un'abilità che sbalordisce per poi colorarla con altrettanta abilità, dispiegando il suo ingegno creativo, manifestando la sicurezza del tratto, la maestria nell'uso di pennelli e colori sempre adeguati ai svariati soggetti che tratta: dal sacro, al profano, al mitologico, al ritratto. Non c' è genere da lei praticato dove non eccelle. Poi la sua caparbietà farà il resto, così riuscirà ad imporsi nel panorama artistico italiano a lei contemporaneo. Eppure nel corso dei secoli Elisabetta Sirani cade nell'oblio. Solo da qualche decennio la critica la sottrae all'ingiusto destino. Così nel 2018 una mostra agli Uffizi a lei dedicata le rende giustizia.

Ma chi le ha insegnato a dipingere? Come mai è morta così giovane?

Elisabetta, nata, vissuta e morta a Bologna, cresce in un ambiente favorevole alla sua inclinazione naturale, in quanto il padre, Giovanni Andrea, è il primo assistente del grande maestro Guido Reni. Ma ciò non agevolò il suo percorso, per il quale dovette fare tutto da sola, visto che le era proibito frequenare l'accademia, riservata solo agli uomini. E quando ben presto il padre, per motivi di salute, non potrà più dedicarsi alla pittura, gli subentra lei, appena ventiquattrenne, che impara rapidamente e molto bene a gestire una vera bottega d'arte che ben presto diventa fiorente, consentendo lauti guadagni che verranno impiegati per mandare avanti la famiglia e quanti ruotavano attorno ad essa, cioè circa una ventina di bocche da sfamare, da vestire, tra consanguinei, servi, apprendisti. Ma lei sa anche far quadrare i conti. La sua capacità manageriale è indiscutibile e supera ogni limite se si pensa che fu la prima donna in Europa ad aprire una scuola di pittura per ragazze, poco dopo aver ricevuto nel 1662 il prestigioso titolo di Porfessoressa dall'altrettanto prestigiosa Accademia di S. Luca di Roma. Titolo che Elisabetta si guadagna perchè è molto brava e svelta nel suo campo, ha realizzato una sua maniera di dipingere, che lascerà traccia nella storia dell'arte bolognese. Ma è anche intelligente, garbata nei modi e di piacevole aspetto e tutto questo le consente di radunare attorno a sè una clientela molto ricca e molto selezionata di cui menzioniamo la duchessa Enrichetta Adelaide di Savoia, la granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere, l'imperatrice Eleonora Gonzaga, importanti esponenti della famiglia medicea, alti prelati.

Ma ad appena 27 anni si ammala e ben presto muore in circostanze misteriose, tanto che si apre un processo che vede imputate un'allieva, Ginevra Cantolfi, e la governante Lucia Tolomelli. La verità non verrà mai a galla.

Definita subito "Gloria del sesso Donnesco, la Gemma d'Italia e il Sole d'Europa", la "Pittrice eroina", a lei fu riservato l'onore di essere seppellita accanto alla tomba di Guido Reni, nella Basilica di San Domenico di Bologna.

Pippo Lombardo

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