Il mondo nuovo di Aldous Huxley

di Alessia Messina

Se cerchiamo un luogo nel mondo in cui ottenere sempre tutto ciò che vogliamo, e non volere mai tutto ciò che non si può ottenere; allora, è nell’immaginario Stato totalitario del futuro de Il Mondo nuovo (1932), di Aldous Huxley, che occorre recarci.

Uno Stato mondiale ambientato nell'anno 2540 della nostra era, in cui, il Dio Ford, «Supremo essere e Amico sociale», regna con lo slogan «Comunità, Identità, Stabilità», ripetendosi nelle menti di milioni di surrogati d’uomini fabbricati in provetta secondo i princìpi della produzione di massa applicati alla biologia.

Una Comunità che, stratificata secondo il sistema delle caste, predestina le identità fisico-chimiche superiori (degli Alfa e dei Beta) a occupare i gradini più alti della scala sociale ed economica, e che fabbrica nel maggior numero possibile gemelli fisico-chimicamente inferiori (quali «Gamma tipificati, Delta invariabili ed Epsilon uniformi»), per indirizzarli a operare in serie sui gradini più bassi della scala produttiva.

Una Comunità mondiale in cui le Identità biologiche stereotipate, vengono condizionate, attraverso un’educazione morale assolutamente non-razionale, ad amare la propria inevitabile destinazione sociale. Un condizionamento permanente che, sviluppandosi dall’infanzia sino alla maturità, successivamente cede la strada alla cosiddetta «esistenza indipendente». Un’esistenza in cui, - senza madri o padri, fratelli e sorelle, amori e amanti, conflitti e pace, malattie e sofferenze – ognuno appartiene a tutti gli altri, affinché nella totale promiscuità nessuno può legarsi in affetti stabili con nessun altro.

Una comunità in cui il concetto di Stabilità regna sul non-sentire degli uomini perché, «sentendo fortemente (fortemente, oltretutto in solitudine, in un disperato isolamento individuale) questi uomini non potrebbero mai costituirsi come civiltà stabili». Un non-sentire durevole, realizzabile attraverso una buona quantità di amabili vizi immediatamente consumabili. Un non-sentire, tradotto in sentire sessuale galvanizzato in: giochi erotici infantili, affinché nell’adolescenza non si realizzi nessun conflitto d’identità o alcuna relazione amorosa; in gomme di ormoni sessuali affinché ci si possa liberare dei propri impulsi verso chiunque e senza un perché; in cinema odorosi per avere tutti gli stessi stimoli sessuali e le stesse risposte socializzate; e ancora in orge solidari per unirsi in riti erotici di abbacinamento al Dio e Amico Ford. E poi, tanto tanto soma: euforica, narcotica e gradevole droga allucinante.

Ed infine, su due estremità segnanti nascita e morte: da una parte ripetuti e costanti riti malthusiani per non permettere mai la nascita di uno scandaloso e inutile viviparo; e dall’altra, gigantesche ciminiere da cui ricavare più di un chilo e mezzo di fosforo per ogni adulto cremato, cosicché per tutti «diviene magnifico pensare che possiamo continuare a essere socialmente utili anche dopo morti».

Insomma, una enorme comunità identitaria stabile che, nel segno "T scrocifitto", - spazzando via ogni residuo di polvere di vecchia storia, ogni ripugnante concetto di famiglia, ogni disgustosa forma di casa, e ogni indecente concetto di amore - consuma volontariamente il proprio annichilimento.

Uno scenario freddo e sterile in cui solo il Selvaggio John (il viviparo per errore), rimanendo fedele alle parole di William Shakespeare (proibite nel mondo nuovo), pagherà a proprie spese il dover abitare in un mondo «fatto» da surrogati d’esseri pneumatici privi di qualsiasi sensibilità.

Un libro da leggere per cogliere nelle fantasticherie di questo romanzo gli aspetti più drammatici della nostra realtà: una realtà che va divenendo sempre più perfetta quanto meno libera.

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