La Primavera di Botticelli: eden-iperuranio dell’arte quale possibilità di vita - di Pippo Lombardo

Si inabissi il pensiero umano nel favoloso, primevo impero di Persia e ricongiunga a un suo sovrano accorto, che immaginò per primo un pairidaēza (giardino paradiso) perché lo informasse della sua capacità ordinatrice (cosmetica), a quanti poi ne ripresero l’etimo, fra ebrei greci latini poco importa, per ipostatizzare un locus. Forse fu da lì che Adamo ramingo si aggirò per lungo torno di tempo in uno spazio aptico per ogni valle e bosco, pianura e deserto, lungo rive di fiumi e di mari, sempre irrequieto fino a quando non avesse trovato un luogo simile al suo eden, di cui si doleva, nel suo triste peregrinare, di averne perso i beni: fra i tanti la bellezza, lo splendore, la floridezza: nei colori, nelle forme, nei suoni che ristoravano l’animo. E quanti paesaggi tra i più belli ad occhio umano avesse visitato e avesse anche contemplato, nessuno mai leniva quell’antico dolore della perdita della visione di un luogo sì incantevole.

E quando ormai Adamo era sfinito da una ricerca durata così lungo tempo, era deluso dalla certezza che nessun luogo potesse mai eguagliarne quella bellezza, quello splendore, quella floridezza, immaginiamo che allora Zeus, mosso a pietà dalle sue umane querimonie, impregnò la signora del caos, Eurimone, per generarne figlie consolatrici a cui affidare il compito di donare ad Adamo e alla sua numerosa discendenza, quanto ci potesse essere al mondo di più bello, di più splendido, di più florido, quale efficace unguento che alleviasse i guidaleschi della pesante soma dell’ esistenza umana. E il padre degli dei lo sospinse in Beozia, perché lì Orcòmeno era il centro di devozione alle sue tre splendide figlie, le Cariti (Grazie), coperte soltanto di sibaritico bisso aureo, impalpabilmente trasparente, perché lì Adamo le incontrasse, perché di lui per sempre se ne prendessero cura.

E accadde che Aglaia, Eufrosine e Talia lo condussero tra la sua discendenza e, attraverso costante percolazione, i loro insegnamenti educarono alla bellezza dell’adamantina natura, ma ancora ciò non era sufficiente, benché sovescio che alimentava l’ingegno umano e così consigliarono agli uomini di osarne la mimesi attraverso l’arte e sospinsero Adamo a suggerire dettagliate descrizioni del suo eden e degli stati d’animo nel ricordo di quello e così alcuni diventarono pittori, architetti, altri scultori, musici o letterati, ma tutti fecero a gara per consolare il progenitore con la loro abilità, a partire da Zeusi, da Fidia, da Prassitele, da Dafni, da Esiodo, e ancora tanti altri, fino a quando insuperabile, secondo Adamo, riuscì certo Alessandro di Mariano Filipepi (detto Sandro Botticelli), così sensibile all’afflato delle Grazie, ai suoi suggerimenti, a quelli degli umanisti, fra i quali il diletto Angelo Poliziano, dalle cui labbra anche il primigenio antenato ascoltò le Stanze, flautate parole soavi, tanto che l’immaginazione si modificò in estasi e Adamo prima fu rapito da quei versi e poi si sciolse in lacrime, quando vide ciò che il pittore aveva immaginato: un messaggio soteriologico, del quale Marsilio Ficino ne aveva predisposto la trama filosofica: un ombroso bosco di aranci, su un’altura soprelevata rispetto ad azzurrine terre lontananti, dove le Grazie, per Sandro, avevano invitato a posare Cupido capriccioso e la sua bella madre, qui pudica; quindi Mercurio scaltro e fertile, e Zefiro innamorato dell’ineffabile Cloris–Flora.

É Aby Warburg a palesare così l’arcano, e chiari si svelano i sottili richiami culturali che risalgono a Lucrezio, Virgilio, Ovidio e a tutta la tradizione neoplatonica.

Ogni pennellata, pertanto, sembra rimandare all’ambivalenza della natura umana: quella carnale (Zefiro) che ci àncora al nostro destino terragno, agli istinti; quella spirituale (Mercurio) che ci sospinge verso l’alto, alla contemplazione.

E forse è questo il suggerimento? Che l’uomo tenda alla contemplazione? Cioè all’incontaminata purezza edenica-iperuranica a cui Adamo ambisce ritornare? E forse per questo egli davanti a quel locus amoenus artistico si sciolse in lacrime? Perché più di altri ne ricreava l’idea del suo giardino?

E allora si ascolti la “partitura” pittorica mentre si distende melodiosa da destra verso sinistra: da uno Zefiro-Adamo col suo istinto d’amore che genera vita (Cloris-Flora), sensibile all’azione della Venus genetrix e del figlio Eros, che ingentiliscono, a un Mercurio-Adamo col suo desiderio di sublimazione degli istinti che si purificano attraverso le tre Cariti: Eterno Femminile che ci conduce oltre (Goethe).

Ecco, finalmente, Adamo lenisce il suo antico dolore: si pensi grato alle Grazie beotiche o grato alla Grazia cristiana, in un maritainiano messaggio salvifico, in ogni caso però lo si immagini impetrante che sempre la sua discendenza numerosa ricerchi l’arte, perché ha saputo che da lì scaturisce “quel puro immemorabile” (Schellimg) che serba il ricordo o dell’antico pairidaēza iranico o del più recente Paradiso promesso sul Golgota da Cristo al buon ladrone, o infine di qualsiasi altro paradiso.

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