Joan Didion – L’anno del pensiero magico

L’anno del pensiero magico (The year of magical thinking) di Joan Didion è un libro che parla di morte, e quindi di vita.

Perché la vita e la morte sono indissolubilmente fuse.

Joan Didion (1934 – 2021), scomparsa di recente, è stata una scrittrice, sceneggiatrice e giornalista statunitense, vincitrice del National Book Award nel 2005 con L’anno del pensiero magico ed esponente del Nuovo Giornalismo (New Journalism), uno stile identificato da Tom Wolfe tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento in base al quale fatti reali e romanzo si incontrano.

Nata e cresciuta a Sacramento, si laureò a Berkley nel 1956 e lavorò per Vogue. In quegli anni conobbe John Gregory Dunne, anch’esso scrittore presso Time, che poi sposò e con cui si trasferì a Los Angeles. Insieme adottarono una figlia, Quintana, e insieme collaborarono a diverse sceneggiature. Ma, soprattutto, insieme condividevano la vita e l’amore per la scrittura.

Una sera, una sera qualunque di fine 2003, ancora sotto le feste natalizie, i due coniugi rientrano a casa dopo aver fatto visita a Quintana, ricoverata in terapia intensiva a causa di uno shock settico seguito a una polmonite. Mentre stanno cenando, John viene colpito da un attacco cardiaco e muore.

«La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.»

Quella sera segnerà l’inizio dell’anno del pensiero magico di Didion.

Improvvisamente, in modo brutale, lei si ritrova sola. Un marito morto davanti ai suoi occhi e una giovane figlia in fin di vita in un letto di ospedale.

Ciò che emergerà da questo memoir, in pieno stile New Journalism, sarà un racconto estremamente dettagliato e lucido di ogni momento da lei vissuto in quei giorni quando, nel tentativo di vivere il dolore nel modo più razionale possibile, si troverà a fare i conti con la sua improvvisa solitudine, dentro e fuori casa.

«Le persone che hanno perso qualcuno da poco hanno sul viso una certa espressione, forse riconoscibile solo da coloro che hanno visto quell’espressione sul proprio. Io l’ho notata sul mio e ora la noto sugli altri. È un’espressione di estrema vulnerabilità, nudità, trasparenza. È l’espressione di uno che dall’ambulatorio dell’oculista esce con le pupille dilatate nell’abbacinante luce del giorno, o di uno che porta gli occhiali e che improvvisamente è costretto a toglierseli. Queste persone che hanno perso qualcuno sembrano nude perché si credono invisibili. Io stessa per un certo lasso di tempo mi sentii invisibile, incorporea. Mi pareva di aver attraversato uno di quei fiumi leggendari che dividono i vivi dai morti, di essere entrata in un luogo dove potevo essere vista solo da coloro che avevano anch’essi subito una perdita recente. Per la prima volta compresi la forza dell’immagine dei fiumi, lo Stige, il Lete, e del traghettatore intabarrato con la sua pertica.»

Il dolore, che viene qui vissuto a livello non solo spirituale, ma anche a livello fisico e viscerale, è necessario, va vissuto in tutte le sue fasi. È accompagnato dalla nostalgia, dai ricordi, dal senso di vuoto e smarrimento. Ma è reale.

L’anno del pensiero magico, insieme a Blue nights (2011), in cui l’autrice affronterà il suo secondo tragico dolore, quello della perdita della figlia, è un testo universale, che riguarda ciascuno di noi. Ed è per questo motivo che tutti dovremmo leggerlo.

«Siamo esseri umani imperfetti, consapevoli di quella mortalità anche quando la respingiamo, traditi proprio dalla nostra complessità, e così schizzati che quando piangiamo chi abbiamo perduto piangiamo anche, nel bene e nel male, noi stessi. Come eravamo. Come non siamo più. Come un giorno non saremo affatto.»

Oltre alla lettura, è consigliata anche la visione del documentario Netflix “Joan Didion: il centro non reggerà” (Joan Didion: The center will not hold,2017).

Carla D'Agristina

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