Una vita come tante, di Hanya Yanagihara (2016)

<<Io non riesco a odiare. Non sono abituato alla gentilezza>>.

Nessun nesso logico tra le due frasi, oppure sì?

No, questa non è una citazione tratta dal libro che mi accingo a recensire, sono le parole di una persona affetta da una forma di schizofrenia, pronunciate alla sottoscritta proprio all’indomani della conclusione della lettura di Una vita come tante, di Hanya Yanagihara. Chiunque abbia letto questo libro sa bene di cosa parlo se dico che all’ascolto di queste parole sono stata proiettata ancora una volta nella mente di Jude, il protagonista della storia, tornando a sentire i suoi mostri, il suo dolore.

Dolore. Se c’è una parola chiave che possa riassumere le circa 1000 pagine del libro è proprio questa: dolore. La lettura sviscera questa sensazione in tutte le sue possibili sfumature, senza risparmiare nulla al lettore.

Una vita come tante, non è solo un libro, è un’esperienza emotiva e sensoriale, è mare mosso, tempesta, destabilizzazione. È angoscia, dolore. Ma è anche poesia, dolcezza, sprazzi di umanità, senza filtri né edulcorazioni.

Trauma. Altro file rouge del testo. La narrazione, infatti, ruota intorno ai traumi multipli che il protagonista ha subito lungo l’arco della sua vita, in special modo durante la sua tragica infanzia.

Ma andiamo per gradi.

Il libro, almeno inizialmente, ha le sembianze di un romanzo di formazione. Infatti, nelle prime 200 pagine l’autrice racconta le vite di quattro giovani amici, ex compagni di college, in una New York contemporanea. I personaggi vengono presentati mettendo in luce tratti salienti della vita e le caratteristiche della personalità di ciascuno: Willem, ragazzo dall’animo nobile e gentile, sogna di diventare attore mentre fa il cameriere per sbarcare il lunario; JB, arrivista e dai modi a tratti eccessivamente espliciti, cerca una via d’accesso al mondo dell’arte; Malcom, architetto insoddisfatto in un importante studio e, infine, Jude, avvocato di successo, molto riservato e con un passato misterioso alle spalle di cui nemmeno i suoi più cari amici sono a conoscenza. Da questo momento in poi è intorno a Jude e alla sua vita passata che ruoterà il racconto, in un crescendo altalenante di dolore e riscatto. Ed è da questo punto che le circa 1000 pagine del libro spiccano il volo ed il lettore si immerge in una storia dolorosa, costellata da traumi, tra i più estremi, ma con descrizioni di sensazioni talmente umane e conosciute da risultare familiare quel dolore.

Il dolore di Jude è anche il dolore del lettore, che facilmente riesce a connettersi empaticamente con il protagonista.

A poco a poco, tra le pagine sempre più veloci di questo romanzo, verrà rivelato il tragico vissuto di Jude e, contestualmente, la genesi del suo senso di colpa, grande responsabile della sua rinuncia alla felicità e, per certi versi, all’amore e alla vita. Disgusto e vergogna di se stesso, infatti, saranno i sentimenti predominanti nel nostro protagonista, con conseguente radicata convinzione di essere corresponsabile di ciò che ha subito per molto tempo.

Il senso di colpa e la sofferenza, in Jude non si traducono quasi mai in odio verso chi gli ha fatto del male. Vediamo il protagonista oscillare tra la paura, che a volte si traduce in terrore, e una sorta di inerzia, emozioni che trovano una parvenza di conforto e ristoro, almeno in alcuni momenti, alla presenza degli amici di sempre i quali, pur non conoscendo nulla del passato di Jude, rispettano la sua riservatezza non facendo mancare cura e attenzione verso l’amico, così palesemente fragile e provato dal peso dell’esistenza anche fisicamente. Sarà soprattutto Willem, coinquilino e amico di Jude da anni, a cominciare a far breccia su quel muro di riservatezza e paura costruito con tanta dedizione dal nostro protagonista.

Una vita come tante non è solo una storia di dolore. Infatti, largo spazio viene dato anche al presente di Jude e alle possibilità meravigliose che la vita riesce a porre lungo il suo cammino, quasi come risarcimento morale per le troppe sofferenze e gli indicibili torti subiti. La vera difficoltà per Jude sarà convivere con quelli che lui definisce “mostri” e che provengono dai suoi ricordi, da dentro di sé e lo investono con forza emotivamente devastante ogni qual volta qualcuno gli manifesti vera umanità e affetto.

Una vita come tante? Se vogliamo vederla dal lato del dolore umano allora sì, ma nel particolare, quella di Jude e dei suoi amici, certamente, non è una vita come tante!

Il lettore verrà trasportato in un crescendo di emozioni, in una trasformazione della narrazione che sembra seguire il ritmo della vita, tra brusche frenate e corse a perdifiato attraverso giorni che di normale hanno solo l’ineluttabile scorrere del tempo, della vita, in un inarrestabile panta rei, che meravigliosamente richiama qualsiasi lettore alla propria esistenza, ai propri dolori, ponendo l’accento su quante volte, in un eccesso di probabilmente inutile zelo, abbiamo affrontato il nostro vissuto più amaro in maniera disfunzionale, talvolta facendo anche prevalere la convinzione di non meritare, in fondo, quel briciolo di felicità che, raschiando il fondo, abbiamo intuìto possibile.

Concludo riproponendo la frase inziale: <<Io non riesco a odiare. Non sono abituato alla gentilezza>>. Anche Jude, personaggio tra i più umani che la letteratura contemporanea ci dona, non sa odiare, se non se stesso. E sempre Jude, non abituato alla gentilezza della vita e delle persone che hanno abitato la sua infanzia, fatica moltissimo a credere possibile che per lui, in questo mondo, ci possa essere amore e cura.

Laura Ventimiglia

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