La musica leggerissima che nessuno vuole, ma tutti hanno
di Noele Di Nuzzo
Se da un lato il 71º Festival della Canzone Italiana di Sanremo ha visto vincitori i Måneskin con il loro pezzo “Zitti e buoni”, dall’altro ha visto nascere uno dei sottofondi dell’estate 2021 con “Musica leggerissima” degli esordienti Lorenzo Urciullo e Antonio Di Martino, in arte Colapesce e Dimartino. I cantautori siciliani, arrivati quarti nella competizione, sono saliti agli onori della cronaca con un ritornello entrato facilmente nella testa di tutti.
Il pezzo, scritto in Re minore, accordo figlio della tradizione popolare di Rosa Balistreri e della musica napoletana, si impone, usando le parole di Claudio Tedesco su RollingStone, «come un tormentone usato come antidepressivo di massa».
«Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente, anzi leggerissima, parole senza mistero, allegre, ma non troppo».
Cos’è quindi questa musica leggerissima? È la musica che siamo in qualche modo “costretti” ad ascoltare, dalla quale non c’è modo di tirarci indietro. La musica leggerissima che nessuno vuole, ma che tutti hanno.
È ironico come una canzone volta alla critica della costante ricerca di musica sempre meno impegnativa sia diventata emblema della musica che essa stessa denuncia.
Da una parte il testo della canzone vuole essere un continuo richiamo alla sfera emozionale e un invito all’introspezione, dall’altra il ritmo del motivo è contagioso. Come un sentimento interiore, come una presa di coscienza che lì sul domandare si ritrae in un ritornello che assuefà e che chiede un po' di musica leggerissima che nel silenzio assordante allontani quel baratro così vicino a noi.
Nel panorama filosofico-antropologico chi ha davvero colto questo aspetto è Zygmunt Bauman nella sua continua analisi della “società liquida”. Ad essere caratterizzata dalla ormai inflazionata “liquidità” è ovviamente anche la musica. Essa motore e propulsore di grandi rivoluzioni è stata prontamente assoggettata e ingabbiata nelle spietate dinamiche del mercato, così la musica, come l’arte in generale, è diventata merce al servizio del focaultiano potere.
È risaputo: una volta che l’arte raggiunge il pubblico questa perde parte dell’impronta del suo creatore, si mescola alle emozioni e ai sentimenti che suscita in chi ne fruisce, talvolta venendone anche stravolta. È questo il messaggio che i due cantautori siciliani volevano portare sul palco del teatro Ariston? Si è forse alla ricerca di una musica che non impegni più su nessun piano, e che, al contrario, anestetizzi e sopisca qualsiasi reminiscenza di una coscienza ancora libera? Ritengo che un semplice “no” sia banale.
La musica leggerissima è quella nei supermercati, che canticchiano tutti, senza pensarci, senza trasporto, che fa da sottofondo alle giornate, che unisce tutti. Un’unione, questa, da non vedere con occhio positivo, ma anzi estremamente freddo e realista: la musica leggerissima che ci unisce è la prova di una musica che non ha più un target, ma che al contrario vede solo acquirenti mossi dagli stessi gusti.
“Musica leggerissima” resta una denuncia a metà, un esperimento che non ha sortito l’effetto sperato, un’ulteriore conferma che la musica, almeno quella “professata”, anche da infedeli, riprendendo il titolo di un disco di Urciullo, in palchi così prestigiosi, resta appannaggio del mercato.
Noele Di Nuzzo